Hai preso una foto che avevi nel risvolto interno della tua agenda e me l’hai regalata.  Dietro, sotto alcune scritte in inglese ed una piccolissima in arabo, hai scritto, in italiano: “In qualche modo, aspettavo te!” Riad 1981

La tua vita è un po’ strana da raccontare. Tu e la tua famiglia avete vissuto in posti completamente diversi tra loro per moltissimi anni. Poi tuo padre si è ammalato. Siete tornati negli Stati Uniti ed, in sei mesi, un tumore all’intestino se l’è portato via!

Tu avevi 15 anni. Era il 1988.

Forse è questo che ti ha reso come sei, oppure no. Sei semplicemente una persona altruista, propositiva, allegra perché è così che dovevano andare le cose. È il tuo carattere e… basta!

Io non ci sono abituata. Mi sembra tutto troppo bello per essere vero. Mi posso rilassare e godere del momento. Questo è il vero “miracolo ateo” per me!

Me la guardo quella foto, ora che ci sei tu. La guarderò quando sarai dall’altra parte dell’oceano. Mi piaci. La tua faccia sottile. I capelli biondi, ribelli pure quando eri piccolo. Sei seduto su una sedia bianca, forse di legno. Hai un bel sorriso e dietro di te c’è tua madre, abbronzata e sorridente.

Ti ho dato anche io una mia foto. Sono vicina al mio pastore tedesco Rebel, era il 1977, avevo i capelli rosso rame, raccolti in due codini boccoluti ed indossavo il vestito tipico del cantone San Gallo. Camicina bianca in pizzo con le maniche a sbuffo, e corpetto rosso e blu, grembiulino in pizzo bianco.

Ero nella casa dove ho vissuto fino ai cinque anni. Giardini, viali bordati da rose e viburno, pini marittimi.

I miei ricordi migliori li ho in quella casa.

L’hai messa al posto della tua.

Uno scambio che parla di noi.

Le nostre immagini di bambini ora sono ben conservate nei nostri cuori. La mia nel tuo. La tua nel mio.