“La lavatrice ha finito. Spegnila per favore!”
Il caffè si era raggrumato sul fondo della tazzina.
“Potrei leggerci il futuro”, pensò. Mentre il cucchiaino ricadeva, tintinnando, sul bordo del piattino.
Si alzò dalla sedia. Le pantofole infilate male. I polsini della tuta troppo lunghi. Pochi passi trascinati senza voglia. Davanti allo specchio, la sua immagine. I capelli lungo le spalle, la pelle struccata, le lentiggini in ordine sparso un po’ sul naso un po’ sulle guance. Le più ribelli giù sul mento. “Sto invecchiando” e fece scorrere le dita tra i capelli rossi.
In cucina appoggiò la tazzina nel lavello e spalancò la finestra. L’aria era tiepida. Si sporse in avanti e respirò a pieni polmoni.
“Vieni qui!” Le mani di lui le cinsero i fianchi.
“Non ti avevo sentito”
“Lo so” e la baciò sulla nuca e giù lungo la schiena sopra la stoffa di cotone.
Un buon odore di panni, appena lavati, invase tutta la cucina.
“Mi aiuti?” E le porse un piccolo asciugamano umido e profumato.
La corda da bucato dondolò sotto le loro dita.
“Passami un’altra molletta”
Lei si girò e vide il suo sorriso. Bianco. Perfetto. Uguale a quando lo aveva visto la prima volta.
Fece scivolare giù un calzino. Lo seguì con lo sguardo fino a quando atterrò sul pavimento del parcheggio sottostante. Una macchia nera, sottile, sul grigio del cemento.
“È tutto così rassicurante”, pensò. Mentre lui le passava uno ad uno tutti panni del catino.
Stesero il bucato quasi restando abbracciati. Poi lei se ne andò in bagno.
Mentre aspettava che l’acqua diventasse calda, vide di nuovo la sua immagine riflessa nello specchio. “Non sono così male”, ed iniziò a lavarsi il viso come ogni mattina.