Gambe lunghe per correre lieve.
La testa leggera in questi giorni di tempesta. Non i primi, vista l’età ho già navigato in acque burrascose. Anzi, a dirla tutta, mi sembra di aver attraversato più tempeste che bonacce.
Non mi sono mai piaciute le cose semplici e la vita sembra assecondare il ritmo interiore di ognuno di noi.
Si corre rispettando il fiato, anche quando sembra non essercene più, arriva un momento in cui l’ossigeno torna a bruciare nei polmoni. La pelle si fa rosa e tutto riprende la giusta velocità.
“Rapolina, getta giù la tua treccina!”
E’ questa la mia frase taumaturgica. La mia via di fuga dalle nevrosi e dalle paura. Dal nero di corridoi che sembrano infiniti. Dalle difficoltà economiche, di salute o di cuore che la vita mi mette davanti come macigni grigi ed enormi. Monoliti di ossidiana apparentemente invalicabili.
Sono morta e risorta e non sto correndo il rischio di essere blasfema. Sono morta e risorta per malattia. Sono arrivata a sparire consumata da una malattia inguaribile. Ho sputato veleno nelle pieghe del mio corpo ferito.
Ho sofferto dolori verdi vomito. Emanato odori che il mio corpo non riconosceva come umani. Camminato alle 3 del mattino per corridoi vuoti di un grande ospedale. Ho rincorso il mio fantasma e l’ho riacciuffato per il bordo delle ciabattine di cotone rosa che strusciavano deboli passi su un pavimento di linoleum verde.
Sono stata tutto questo con i muscoli fermi, le ossa tremanti attaccate allo strato più superficiale della pelle e gli occhi neri truccati di un seducente alone blu. Eppure sono qui. Sono qui anche oggi che c’è da combattere ancora e alcune notti vorrei solo gridare perché non c’è comprensione che possa toccare il mio cuore. Sono sola come tutti del resto. Sola davanti e dentro la vita.
Ho le gambe lunghe e corro lieve. Ho imparato che “staccare” è importante e, a volte, il mio avversario rimane dietro e la linea d’arrivo inizia ad intravedersi all’orizzonte.